ARIEL, SCENA!
Tuoni, fulmini,
urla, onde che sembrano poterci sommergere da un istante all’altro.
E’ l’apocalisse.
Ma non temere, rassicura Prospero battendo la mano sul
suo magico-copione , l’ho ordita io, “con tale sapienza e misura dell’Arte”.
La meta teatralità insita nell’opera shakespeariana non
poteva rendersi più esplicita, già dal primo atto.
Perché lo spettacolo teatrale de La Tempesta è esso
stesso spettacolo teatrale, meditato e coordinato dalla direzione del
drammaturgo-regista-mago Prospero: è questa la sua vera Arte magica.
“Dobbiamo finire in tre ore” ripete alla sua
attrice–aiutante Ariel, che tiene legata (anche fisicamente) ai suoi comandi
fino a che il suo dovere non sarà compiuto. Ariel che sistema e prepara il
palcoscenico alla fine di ogni scena, che è sempre presente col suo sguardo per
riferire poi al maestro ogni dettaglio. E il suo maestro si complimenta, la
sgrida, dà ordini con autorevolezza e infine ricompensa il suo impegno.
Se allora tutto ciò che avviene fa parte del progetto,
del copione, di Prospero, l’isola stessa diventa un palcoscenico, il
palcoscenico del suo spettacolo. E’ finzione teatrale.
Le parole dettate da Prospero lo sottolineano, così come
gli oggetti di scena sistemati da Ariel, la stessa “irruzione” della Commedia
dell’Arte (teatro nel teatro nel teatro!) e, ovviamente, la palese scena
finale, con l’ “implosione” dell’isola e l’epilogo dettato da Prospero, o
meglio, dall’attore che lo interpreta.
Ma perché Prospero inscena questo spettacolo? Forse per
vendetta, siamo portati a pensare inizialmente. Una vendetta che ci pare
giustificata, a maggior ragione constatando che nulla sembra essere cambiato
nei comportamenti traditori dei suoi nemici: le congiure, l’avarizia, la brama
di potere… tutto pare ripetersi ciclicamente. Ma se la lettura di Kott
evidenziava questo aspetto, è evidente che la visione di Strehler a un certo
punto se ne discosti: la O disegnata dalla sabbia sul palcoscenico, il percorso
che compiono i naufragati sull’isola, il ripetersi delle azioni dei personaggi
suggeriscono sì un ciclo, ma in cui il punto di arrivo non è lo stesso di
quello da cui sono partiti. O potrebbe non esserlo.
Qualcosa sembra essere cambiato. I personaggi lo
sembrano. Calibano promette che sarà più saggio. Alonso si scusa delle sue
azioni. Sembra che i personaggi abbiano capito qualcosa, sembra che il percorso
sull’isola li abbia portati ad un cambiamento.
L’isola però è finzione, è un palcoscenico, è teatro. Il
teatro stesso diventa allora uno strumento di crescita, di conoscenza, di
cambiamento. Il teatro diventa mezzo per comprendere l’umanità.
Non possiamo realmente sapere se Calibano si impegnerà ad
essere più saggio o se i traditori non tenteranno ancora di usurpare il trono.
Ma c’è un chiaro messaggio di Speranza che Prospero, spogliate le sue vesti di
mago, regista, padre, colonizzatore, maestro e personaggio, lancia direttamente
al pubblico stesso: “Ora sta a voi…”. Perché l’isola in fondo rappresenta “il
microcosmo che è il riflesso del mondo più grande”.
E in effetti “l’Apocalisse” sta avvenendo anche fuori
dalle porte del teatro (sono gli anni di Piombo in cui si ha la sensazione che
il mondo stesso abbia perso l’umanità).
Ecco che Prospero allora ci ricorda che la finzione, la
magia, lo spettacolo stesso, non esistono: occorre lasciare il teatro per
entrare nella Realtà.
E’ un appello ad ognuno di noi: la magia non esiste,
esiste solo la nostra responsabilità.
Articolo presente anche in http://scuola.otforum.it/index.php/appunti-scolastici/127-arte-musica-spettacolo/appunti.html
2011
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2011
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